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Albert Camus
(1913 - 1960)
francuski pisarz, eseista i publicysta. Urodził się w Algierii, w miejscowości, Mondovia w okolicach Constantine. Po ukończeniu szkoły podstawowej (dzięki stypendium) rozpoczął naukę w gimnazjum w Algierze.
Maturę zdał w roku 1930 i wstąpił na wydział humanistyczny algierskiego uniwersytetu. Studiował filozofię oraz historię kultury antycznej. Pracę magisterską (poświęconą analizie porównawczej filozofii Plotyna i św. Augustyna) obronił w roku 1936. Jego kariera na uniwersytecie zakończyła się z powodu gruźlicy, na którą cierpiał przez całe życie.
W 1935 roku powstały pierwsze jego eseje. Camus założył grupę artystyczną Théâtre du Tavail, wstąpił także (na krótko) do partii komunistycznej. Interesował się polityką i dziennikarstwem. W 1938 roku zakłożył antykolonialny dziennik Alger Républican, który ukazywał się do 1940 roku. Współpracował również z Radio-Alger.
W 1942 roku Albert - mając już w swoim dorobku krótką powieść „Obcy” oraz esej „Mit Syzyfa” - przeniósł się do Francji. Rozpoczął pracę nad swoją najgłośniejszą powieścią „Dżuma” oraz działalność konspiracyjną, zwróconą przeciw Niemieckim okupantom. Przyjaźnił się z Jean-Paulem Sartrem, Simone de Beauvoire, Louisem Aragonem, Andre Malraux, Andre Gidem i in.
Chociaż Camus sam nigdy nie uważał się za egzystencjalistę, jest postrzegany za jego najwybitniejszego (obok Sartrea) przedstawiciela.
Nagrodę Nobla w dziedzinie literatury otrzymał w 1957 roku. W uzasadnieniu wyboru Akademia Sztokholmska napisała, że Camus „wprowadza nowe filozoficzne wątki do literatury oraz wyraża rozterki i dylematy swojego pokolenia”.
Albert Camus
(1913 - 1960)
Mondovi, auj Deraan, Algeria, 1913 - Villeblevin,
Yonne, 1960.
Romanziere, drammaturgo, saggista, giornalista e partigiano,
Albert Camus è forse per antonomasia il tipico rappresentante
dell'intellettuale francese del dopoguerra. Profondamente
impegnato nelle lotte e nei dibattiti del suo tempo, continua,
nonostante i malintesi che la sua notorietà stessa ha procurato
alla sua opera lucida e sincera, a svolgere un ruolo di primo
piano nella letteratura del XX secolo.
La memoria di una giovinezza misera sembra avere definitivamente orientato una sensibilità che gli onori non hanno mai sviato: nel 1957, a Stoccolma, di fronte alle teste coronate, il nuovo premio Nobel della letteratura renderà, dalla tribuna, omaggio al suo insegnante di filosofia (Jean Grenier).
Un uomo povero
Albert Camus nacque a Mondovi nel 1913, in una famiglia più che modesta. Allo scoppio della prima guerra mondiale suo padre, operaio agricolo, è ucciso al fronte; sua madre si trasferisce ad Algeri in un alloggio modesto, e vive di lavori domestici e di altri impieghi saltuari. Camus assegnerà più tardi a quest'esperienza della povertà la funzione di una vera scuola di vita. Suo zio, un macellaio, lettore dilettante, gli passa il piacere della lettura e dei libri. Ma il giovane preferisce ancora dedicare il suo tempo all'amicizia, ai bagni di mare e al calcio. Incoraggiato dal suo insegnante di filosofia Jean Grenier, beneficia di una borsa di studio che gli permette di proseguire i suoi studi al liceo quindi all'università di Algeri, dove consegue la laurea in filosofia. Ma di salute fragile e temendo la routine, rinuncia all'insegnamento.
L'entrata in letteratura
Nel 1934 contrae il suo primo matrimonio, che durerà soltanto due anni, e si iscrive al partito comunista, che lascerà tre anni più tardi. Si cerca nella vita e si trova nella letteratura. Il dritto e il rovescio (1937), la sua prima prova, contiene già i temi principali della sua opera: il sole, la solitudine, l'assurdità del destino degli uomini. Nel 1939, Nozze conferma le sue doti d'autore e una acuta sensibilità cui la meditazione filosofica non può bastare. Il giovane autore riesce a conciliare il suo amore per la scrittura con la riflessione e l'azione sia come giornalista presso "Alger républicain" che come animatore di un gruppo teatrale. La seconda guerra mondiale giunge allora a modificare il corso delle cose. La censura determina la scomparsa del giornale al quale lavorava, e Camus è allontanato dall'esercito per motivi di salute.
L'elaborazione di una filosofia
Si risposa e lascia l'Algeria per la Francia. A Parigi, entra nella Resistenza nella cellula "Combat", dove svolge attività di informazione e di giornalismo clandestino. Soprattutto lavora a ciò che già si può definire il "ciclo dell'assurdo". Dal 1940 al 1945, in tre opere capitali, elabora la sua "filosofia". Meursault, ne Lo straniero, uccide un Arabo quasi per caso ed esperisce nella sua cerchia l'indifferenza del mondo. Al teatro è Caligola, interpretato da Gérard Philipe, che spinge l'assurdità delle cose fino a suscitare la rivolta. Il mito di Sisifo affronta le stesse tematiche con taglio teorico: in mancanza di un senso della vita, l'uomo può superare l'assurdità con la "révolte tenace" contro la sua condizione.
Questi lavori sono all'origine dei suoi primi successi ma anche delle prime critiche e dei primi malintesi. Presentato dalla stampa come un filosofo disperato, è associato a Jean-Paul Sartre ed alla corrente esistenzialista, etichetta cui invano cerca di sottrarsi. Ma ormai fa parte a pieno titolo dell'intelligentsia francese. La casa editrice Gallimard lo accoglie nel suo comitato di lettura.
Dalla rivolta al premio Nobel
Alla Liberazione è redattore-capo di "Combat" e prende ormai posizione su tutti i grandi temi che scuotono il mondo: la bomba atomica, i movimenti di decolonizzazione, la pena di morte. Viaggia in Algeria, in America e ovunque prova forti emozioni per la miseria delle popolazioni.
Fin dal 1947, ha iniziato un nuovo ciclo sulla rivolta con un romanzo, La peste, dove l'umanità è posta davanti al simbolo di un male insormontabile. I terroristi russi messi in scena ne I giusti si interrogano anch'essi sul senso dei loro atti allo stesso tempo portatori di morte e di giustizia.
Polemiche e crisi morale
La suo opera L'uomo in rivolta genera un lungo e violento dibattito: alcuni giornalisti lo attaccano, ma anche alcuni partiti politici e intellettuali come Jean-Paul Sartre o André Breton, che gli rimproverano delle inclinazioni "borghesi". Camus si difende, si spiega, risponde. La polemica dura un anno e finisce per deprimerlo, mentre la sua salute si deteriora. Abbandona per un po' il romanzo e si dedica ad adattamenti teatrali di autori stranieri: Dostoevskij, Calderón, Buzzati, Faulkner. Continua d'altra parte ad intervenire a favore delle vittime, contro i carnefici. Questo ripiegarsi su se stesso non è né un riflusso né una rinuncia. Infatti la crisi che attraversa trova presto la sua espressione letteraria e, nel 1956, pubblica La caduta, un romanzo che segna un mutamento del suo stile: ad Amsterdam, lontano dal cielo mediterraneo, un ex avvocato confessa la sua cattiva coscienza e la sua colpa in un monologo pieno d'ironia e di sarcasmi. Una raccolta di racconti esce l'anno successivo, L'esilio ed il regno, dove sono espressi più dubbi che certezze.
La consacrazione
Come Jonas, il pittore di uno dei suoi testi, chiuso in una gabbia per sfuggire i visitatori, così Camus si sente prigioniero del suo pubblico, sia che esso lo ammiri o che lo detesti. Se la celebrità gli pesa, tuttavia raggiungerà il suo culmine. Nel 1957 gli viene assegnato il premio Nobel per la letteratura. Ha quarantatre anni, è il più giovane autore mai premiato a Stoccolma. Questa consacrazione internazionale aumenta la sua stanchezza ma non intacca la sua energia: mette presto in cantiere un nuovo romanzo, Il primo uomo, rimasto incompiuto (e pubblicato ben oltre dopo la sua morte, nel 1994), di cui si può solo dire che avrebbe inaugurato un "ciclo dell'amore".
Il 4 gennaio 1960, Camus rientra a Parigi con il suo editore. Vicino a Villeblevin, nell'Yonne, l'automobile va a sbattere contro un albero. Morte assurda, che dà tuttavia alla sua opera una triste unità. I taccuini che ha lasciato testimoniano lo sforzo costante di una vita tesa alla chiarezza e all'autenticità.
Bilanci
Si può congetturare sul posto che occupa e che occuperà Camus nella storia letteraria? La letteratura "a tesi", suscitando oggi meno interesse, potrebbe far apparire Camus come un erede di Montaigne o dei Moralistes classici dove la forza di uno stile al servizio di uno spirito libero e sincero si impone rispetto alla solidità di un sistema. Come molti autori della sua generazione, Camus ha voluto praticare tutti i generi letterari che potevano contribuire all'espressione delle sue idee o dei suoi dubbi. Ma è più giusto articolare la sua opera attorno ai temi agitati piuttosto che in funzione del generi o dei mezzi espressivi adottati: il romanzo, il teatro o il saggio. Lui stesso ha indicato i due grandi cicli della sua maturità: l'assurdo e la rivolta. Ma non si possono trascurare né le opere di gioventù né gli ultimi lavori, che annunciavano sicuramente una nuova maniera, prematuramente interrotta.
Brama di vivere e assurdo
Camus vivo, le polemiche hanno potuto fare credere a ripensamenti ricorrenti. Col passare del tempo, è soprattutto la coerenza di un percorso intellettuale e di un'opera che vengono in evidenza. I temi delle prime prove attraversano tutta l'opera: la brama di vivere, la passione mediterranea per il sole ed il mare. È su una spiaggia piena di sole che Meursault commette il suo crimine, ed i superstiti della peste trovano il gusto di vivere in occasione di un bagno di mare. Il " pensiero del Sud" con il quale si conclude L'uomo in rivolta è anche quella di Nozze e de L'estate: lucido, solare, ardente. Ma "tutto ciò che esalta la vita accresce allo stesso tempo la sua assurdità".
Invero, non è il mondo che è assurdo, ma il senso che l'uomo vi cerca, senza trovarlo. Su questa meccanica cieca e priva di significato trova fondamento una dramma. Come Meursault, come Sisifo, siamo condannati a spingere senza fine una roccia davanti a noi. Vale allora la vita di essere vissuta? Sì, poiché l'uomo, nel suo sforzo inutile, è più grande del suo destino poiché può rivoltarsi contro di esso. Questa è la sua libertà: "occorre immaginare Sisifo felice."
Rivolta e "umanesimo"
L'uomo esiste dunque soltanto per la sua rivolta, che può assumere mille modalità: filosofica, storica, politica, poetica. Ma, tra la schiavitù accettata e la violenza rivoluzionaria, la creazione è la vera libertà, il più umile e il più fiero sforzo umano. È ciò che mettono in pratica i personaggi de La peste. Tuttavia, in mezzo al XX secolo, il mondo resta scosso, l'individuo inquieto. Camus ha la sensazione di non aver saputo indicare una vera saggezza, e di essere pervenuto soltanto ad una cattiva coscienza. Gli ultimi lavori, disincantati, evidenziano un fallimento, un pessimismo cupo. Ciò che resta di questa messa in discussione, è la verità, la nobiltà dell'uomo, "la vita allegra e lacerata" celebrata nel discorso del Nobel. È per questo che la parola "humaniste" definisce meglio Camus che quella di "esistenzialista" . Cosa importa se le domande non trovano risposte? L' umanesimo può trovare compimento nell'inquietudine stessa, in essa fissare la coscienza, e la sua estensione ed i suoi limiti.
Uno stile al servizio dell'idea
Le idee non sono nulla senza la loro espressione. L'opera di Camus è quella di uno scrittore non di un filosofo. Lo ha detto egli stesso - anche se non ha dissipato del tutto quest'altro malinteso. Come non ha voluto limitarsi ad un genere letterario, così s'è ben guardato dal contenere il suo stile in un solo registro. "Ho adattato la forma al soggetto all'argomento, ecco tutto." Infatti, secondo l'argomento o il personaggio, la scrittura cambia: neutrale per Meursault ne Lo straniero; rigorosa, oggettiva e tuttavia appassionata per la cronaca de La peste; ironica per Clamence ne La caduta. Se gli articoli giornalistici si avvalgono di una prosa impeccabile e vibrante, dove la parola va diritto all'idea, senza effetti né aridità, è forse nei saggi letterari che si afferma soprattutto il magistero di un linguaggio personale. Meglio che delle argomentazioni, le immagini, i ritmi compongono una meditazione luminosa, un inno alla bellezza e all'ardore. Parallelamente, mentre ritorna ne L'estate al lirismo magico de Le Nozze, Camus, negli ultimi romanzi, diventa moralista e poeta. Un tono confidente ed allusivo sostituisce quello semplicemente discorsivo. "Gli stili - diceva- non sono che un mezzo".
Riassunto de Lo straniero di Albert Camus
Parte Prima
Meursault, narratore e protagonista del romanzo, è un giovane e modesto
impiegato che vive ad Algeri. Il racconto comincia il giorno della morte di sua
madre. Di buonora, riceve un telegramma dall’ospizio di Marengo, situato ad
ottanta chilometri da Algeri, che gli annuncia il decesso di lei. Meursault chiede
ed ottiene un congedo di quarantotto ore e va a pranzare “Da Celeste”, un
ristorante di cui è un habitué. Intorno alle due del pomeriggio prende l'autobus.
Fa molto caldo e Meursault dorme durante quasi tutto il tragitto. Essendo
l’ospizio distante due chilometri dal centro abitato, Meursault compie l’ultimo tratto a piedi.
Dopo le formalità, ha un incontro con il direttore dell'ospizio, che ascolta distrattamente. Quest'ultimo gli rivela che sua madre non stava male all’ospizio. Gli annuncia anche che la sepoltura religiosa è fissata il mattino del giorno dopo .
Quindi Meursault si reca in una stanza sbiancata alla calce dove si trova depositato il corpo della madre ma rifiuta di vederne il cadavere. Ha una conversazione con il portinaio. Quest'uomo, molto loquace, gli racconta i fatti suoi e gli propone di cenare al refettorio. Meursault declina l'invito. Il portinaio gli offre allora un caffellatte che Meursault accetta. Quindi ha luogo la veglia, interminabile: gli amici di sua madre, tutti uguali, vi assistono. Si dispongono attorno alla bara e lasciano sfuggire dei rumori strani dalle loro bocche senza denti. Una vecchia piange incessantemente. Meursault ha l'impressione sgradevole che questi vecchi siano lì per
giudicarlo.
Albeggia. Meursault ammira la bellezza di questo nuovo giorno. Dopo una toeletta rapida ed un nuovo caffellatte che gli ha preparato il portiere, Meursault si reca nell’ufficio del direttore dove compie nuove formalità amministrative. Quindi il corteo funebre si dirige verso la chiesa del villaggio, raggiungibile in tre quarti d'ora di marcia. Un vecchio segue penosamente la processione, si tratta di Thomas Perez, un lavorante nell’ospizio della madre. I vicini scherzano su loro due, indicati come "i fidanzati".
Il calore è intollerabile. La sepoltura sfila come un sogno nello spirito di Meursault: la chiesa, il cimitero, lo svenimento del vecchio Perez, l'attesa, quindi la gioia quando l'autobus lo riporta infine ad Algeri. Meursault ha sepolto la madre senza versare una lacrima né ha voluto simulare un dolore non sentito.
Al risveglio, il sabato, Meursault si sforza di capire lo scontento del principale. In fin dei conti non si è assentato che quattro giorni in tutto: due giorni di congedo per la sepoltura della madre, quindi i due giorni del fine settimana. Ozioso, decide di andare a bagnarsi al porto. Vi incontra per caso Marie Cardona, un ex dattilografa del suo ufficio che "aveva desiderato un tempo". Nuotano, si divertono in acqua. I loro corpi si sfiorano. Quindi si addormentano insieme su una boa, Meursault ponendo la testa sul ventre di Marie. Quando si rivestono, Marie scopre, vedendo la sua cravatta nera, che Meursault è in lutto. Mostra la sua sorpresa quando apprende che egli ha perso la madre il giorno prima. La sera, al cinema vedranno una pellicola di Fernandel. Durante la proiezione lui le accarezza un seno e l’abbraccia. Passano la notte insieme. La domenica lei parte prima che lui si svegli. Meursault resta tutta la mattina a letto a fumare. A mezzogiorno si cucina due uova che mangia dalla padella. Ancora ozioso, resta tutto il pomeriggio alla finestra a guardare l’andirivieni giù in strada della gente del quartiere. La sera, «ho pensato che fosse una domenica come le altre, che mamma era sepolta, che avrei ripreso il mio lavoro domani e che, tutto sommato, nulla era cambiato».
Il lunedì, Meursault torna in ufficio. Dopo una mattina banale, pranza come al solito “Da Celeste” con il collega Emmanuel. Quindi siesta da lui, e ritorno all'ufficio in tram, dove lavora tutto il pomeriggio; la sera... il piacere semplice di rientrare a casa lungo i marciapiedi. Nella scala del suo caseggiato, Meursault incontra il vecchio Salamano, il suo vicino di pianerottolo, in compagnia del cane, un braccio coperto di croste, che non lascia, e che ingiuria; è da otto anni che Meursault assiste ogni giorno a questa scena immutabile. Quindi dopo aver lasciato Salamano, un altro vicino, Raymond Sintès, lo invita a «a mangiare un boccone» da lui; sospettato di essere un magnaccia, questo vicino gode di cattiva reputazione. Quella sera porta una fasciatura alla mano: si è ferito nel corso di una rissa di cui fa il resoconto. Raymond Sintès si confida con Meursault: l'uomo col quale si è battuto è il fratello di una donna che "gestisce"
e che vuole punire perché si è accorto che ha fatto la furba. Vuole scriverle una lettera, per farla ritornare, ed in seguito umiliarla. Chiede a Meursault di redigere questa lettera e così aiutarlo a realizzare la sua vendetta. Meursault gliela scrive. Raymond è soddisfatto e riconoscente: «Ora, sei un vero amico».
La settimana si chiude. Meursault ha lavorato bene. È sabato, ritrova Marie. Prendono l'autobus per andare in spiaggia, lontana alcuni chilometri da Algeri. Il sole, l'acqua, il gusto del sale, ed i giochi d’amore tra le onde: «La sua lingua rinfrescava le mie labbra e ci siamo rotolati nelle onde subito dopo» Tutti e due rientrano a casa di Meursault: «Avevo lasciato la finestra aperta ed era bello sentire la notte d'estate cadere sui nostri corpi abbronzati».
Marie resta la domenica mattina. Desidera sapere se Meursault la ama Lui le risponde che ciò non vuol dire nulla, ma a lei è sembrato di no. Marie si intristisce un po’, ma il buono umore ritorna . È a questo punto che odono i rumori di un litigio proveniente dall’appartamento di Raymond; quest'ultimo sta insultando e picchiando una donna. Meursault e Marie escono sul pianerottolo. L'arrivo di un agente mette fine alla lite. La ragazza accusa Raymond di essere un magnaccia, cosa che gli vale una convocazione al commissariato.
Dopo la partenza di Marie, nel primissimo pomeriggio, Meursault dorme un po’. Quindi Raymond viene a trovarlo. È soddisfatto della sua vendetta e gli chiede di venire a testimoniare. Meursault accetta. Escono insieme il pomeriggio. Meursault trova che «è un buon momento». Al loro ritorno, trovano Salamano senza il suo cane. Il vecchio è affranto. I due uomini lo riassicurano dicendogli che il cane si è forse smarrito, e che sarebbe tornato.
La sera, Salamano viene a far visita a Meursault. «Quindi si è congedato con un: "Buonasera". Ha chiuso la porta di casa sua e l’ ho sentito per un po’ andare e venire per la camera. Il suo letto ha poi cigolato. Attraverso le pareti sottili ho sentito brevi rumori e ho capito che piangeva. Non so perché ho pensato a mia madre».
Meursault è in ufficio e Raymond lo chiama per invitare lui e Marie a passare la domenica seguente da un amico, in una capanno in riva al mare, vicino Algeri. Raymond lo informa anche che per tutto il giorno un gruppo di Arabi lo ha pedinato, fra i quali c’era il fratello della sua vecchia amante. Poco dopo il principale di Meursault lo convoca. Gli propone di inviarlo a Parigi dove prevede di aprire un'agenzia. Meursault mostra poco entusiasmo ed il principale gli rimprovera la sua indifferenza e la sua mancanza d'ambizione.
La sera Marie cerca Meursault per chiedergli se vuole sposarla. Meursault le spiega che il matrimonio per lui non ha alcun'importanza e che se lei lo desidera possono anche sposarsi. Quindi i due amanti si separano poiché Marie "aveva da fare".
Pasto serale “Da Celeste”, allo stesso tavolo dove una donnetta indaffarata ha movenze da automa. Di ritorno a casa, sul limitare della porta, Meursault trova Salamano, che gli annuncia che il suo cane risulta definitivamente smarrito. Parlano un po’ del cane, quindi Salamano rammemora la propria giovinezza, la sua ambizione di allora, sua moglie e il cane che aveva acquistato alla morte di questa. Quindi evoca la madre di Meursault: nel quartiere la gente lo ha giudicato male quand’egli l’ha messa all'ospizio, ma lui, Salamano, conosceva molto bene Meursault e sapeva che amava molto sua madre. Per la prima volta, da che si conoscono, i due uomini si scambiano una stretta di mano.
Domenica. Marie chiama Meursault e lo sveglia. Bussano quindi alla porta di Raymond perché sia della loro. Marie è felice di passare la giornata al mare con Meursault. All’atto di prendere l'autobus, Raymond scorge sul marciapiede di fronte degli Arabi (fra cui il suo "tipo") che li stanno osservando. Prendono l'autobus per recarsi dall'amico di Raymond, Masson, un tipo gagliardo, molto simpatico. Scherzando arrivano al capanno di Masson, situato all'estremità della spiaggia. Masson attende i suoi ospiti in compagnia della moglie, una «piccola donna rotonda dall'accento parigino». Masson, Meursault e Marie vanno a fare il bagno. Meursault e Marie nuotano insieme («Sentivamo l'accordo dei nostri gesti e della nostra intimità»") quindi si stendono al sole. È ancora presto per il pranzo e il riverbero del sole sul mare è accecante.
Mentre Maria aiuta la signora Masson a lavare i piatti, Meursault, Raymond e Masson vanno in spiaggia. All’improvviso scorgono i due Arabi. È "lui", dice Raymond riconoscendo il suo avversario. Raymond colpisce il "suo tipo" e Masson si occupa dell'altro. Meursault non prende parte al litigio. Il primo degli Arabi trae un coltello e ferisce Raymond di striscio. Questi si allontana per farsi disinfettare da un medico. Meursault resta con le donne. Al suo ritorno, verso l’una e mezza, Raymond torna sulla spiaggia accompagnato da Meursault. I due Arabi sono ancora là, stesi vicino ad una fontana. Raymond provca il suo avversario ma Meursault, per precauzione, lo costringe a riporre il revolver. I due Arabi si ritirano tranquillamente.
La calura è intollerabile. Di ritorno al capanno, Meursault avverte l’impulso di ritornare a camminare sulla spiaggia, e si dirige verso l'angolo ombreggiato della fontana per trovare un po’ di frescura. Il "tipo" di Raymond è ritornato. Per via del sole spietato, Meursault vivrà il seguito degli eventi in una specie di semi-incoscienza; stringe il revolver di Raymond in tasca, forse decide di fare un mezzo giro, ma sente la spiaggia "vibrante di sole" che quasi lo pressa da dietro; l'Arabo estrae il coltello, la luce balugina sull'acciaio; gli occhi sigillati dal sudore, la mano di Meursault si contrae sul revolver, il colpo parte. «È lì, in quel rumore ad un tempo secco e assordante, che tutto è cominciato. Scuotendomi dal sudore e dal sole, ho capito che avevo infranto l’armonia del giorno, il silenzio inaudito di una spiaggia dov’ero stato felice. Allora, ho sparato ancora quattro volte su un corpo inerte dove i proiettili s’affondavano come se non fossero veri. Ed era con questi quattro brevi colpi che bussavo alla porta dell’infelicità ».
Seconda parte
Meursault è arrestato e subisce molti interrogatori al commissariato, quindi dal giudice inquirente. Trovando la sua causa "molto semplice" Meursault non reputa necessario prendersi un avvocato. Gliene viene assegnato uno d'ufficio. Che interroga Meursault su sua madre e i sentimenti che nutriva per lei. Le confessioni ad un tempo sincere ed ingenue di Meursault imbarazzano l’ avvocato. Nuovo interrogatorio del giudice. Anche questi gli chiede se amava la madre. Desidererebbe anche comprendere perché ha aspettato tra il primo e gli altri quattro colpi di pistola. Meursault non manifesta alcun rammarico e resta muto. Il giudice, invece, perde il controllo. Invoca Dio e Cristo e brandisce un crocifisso. Gli atti istruttori dureranno undici mesi. Ora che l'avvocato vi assiste, Meursault ha l'impressione di essere un po' lasciato fuori:
« Il giudice discuteva dell’inchiesta col mio avvocato. Ma in verità, non è di me che si occupavano».
Il giorno del suo arresto, Meursault si trova ristretto con altri prigionieri. Quindi ben presto, si trova solo in cella. Dalla sua finestra, può vedere il mare. Visita di Marie in parlatoio. Il rumore delle altre conversazioni dei prigionieri copre le parole di Marie. Meursault ha difficoltà a concentrarsi. Gli risponde soltanto con monosillabi. Tuttavia, vorrebbe tanto abbracciarla.
Quindi Marie gli invia una lettera, sarà l'unica. Meursault soffre all'inizio della privazione della libertà. Gli manca il mare, ha voglia di sigarette, ha desiderio di donna. Ma si abitua poco a poco alle privazioni e non si reputa «troppo infelice». Ammazza il tempo in cella: dorme, legge, va con la mente ai ricordi, e legge e rilegge un fatto di cronaca su un vecchio pezzo di giornale trovato sotto il suo materasso. Una sera si specchia sul fondo della sua gamella: «Mi sembrò che la mia immagine restasse seria, anche quando provavo a sorridere.»
Il processo alle Assise ha luogo in giugno. «Il dibattimento si è aperto mentre fuori il sole alto risplende» . La mattina, Meursault si confida con un gendarme e gli confessa che gli piacerebbe assistere ad un processo. Non ha mai avuto occasione di parteciparvi. La sala del tribunale ribolle. Ci si accalca per vederlo. Meursault realizza la propria condizione nella gabbia d'imputato. Vede i giurati allineati come su un sedile di tram, i giornalisti, la corte, i testimoni. Le risate, il tramestio che regna in sala, e il forte brusio sembrano escluderlo: si sente di troppo.
Entra la corte. La seduta comincia con scaramucce procedurali, quindi vengono riassunti i fatti. Il presidente interroga Meursault su sua madre, sull'omicidio dell'Arabo. I testimoni sfilano gli
uni dopo gli altri: il direttore dell'ospizio, il portiere, Thomas Perez. I giudici apprendono così che Meursault non ha pianto alla sepoltura della madre, che ha rifiutato di vederla un'ultima
volta, e che ha fumato in obitorio. La sala è sconcertata, il pubblico ministero assapora la vittoria.
Celeste viene chiamata a testimoniare e può appena dire che ciò che sta succedendo a Meursault è una "disgrazia"; non può dire altro. Tocca a Marie. Incalzata dal pubblico ministero, Marie riconosce che la sua "unione irregolare" con Meursault data dal giorno dopo la sepoltura, e che sono andati quella sera stessa a vedere una pellicola di Fernandel. Quindi si ribella contro la pubblica accusa perché «la induceva a dire l'opposto di ciò che pensava».
Il pubblico ministero conclude che « il giorno dopo la morte della madre, quest'uomo andava al mare, avviava un’unione irregolare e rideva davanti ad una pellicola comica». Il tribunale presta in seguito poca attenzione alle testimonianze di Masson e di Salamano. Quindi l'avvocato generale rivela alla corte che Raymond è un "magnaccia"; Meursault ha scritto la lettera che è all'origine del dramma, egli ha fornito una prova di comodo a favore di Raymond: questi due uomini sono complici, ed il crimine di Meursault è ovviamente un crimine abietto. Le ultime parole del pubblico ministero sono implacabili: «Accuso quest'uomo di avere sepolto la madre con un cuore di criminale». L'avvocato protesta. Alla reazione dell’ avvocato, Meursault capisce che il processo volge al peggio.
L’udienza è aggiornata. Meursault raggiunge la cella. Egli si sente escluso da questo processo, e ciò sia nella difesa dell’ avvocato quanto nelle accuse del procuratore. Assiste al processo come se vi fosse estraneo. Si parla di lui, ma senza mai che alcuno gli chieda il suo parere. Alcuni punti tuttavia destano il suo interesse. Così il pubblico ministero che lo accusa di premeditazione. Anche l'indifferenza che ha manifestato alla morte della sua madre proverebbe la sua "insensibilità". Il pubblico ministero si spinge fino ad parificare il suo crimine a quello di un parricida che sarà giudicato il giorno dopo: Meursault è un mostro, che non ha «nulla a che fare con una società di cui trascura le norme fondamentali». Sospinto dalla foga della sua argomentazione, il pubblico ministero chiede la testa dell'imputato, la condanna a morte.
Il presidente chiede indi a Meursault se desidera fare qualche commento. Per la prima volta, l'imputato chiede la parola. Annuncia che non aveva l'intenzione di uccidere l'Arabo e che questo crimine ha avuto luogo a causa del sole. Prende coscienza del ridicolo della situazione: il pubblico scoppia di ridere.
L'avvocato invoca le circostanze attenuanti. Elogia le qualità morali di Meursault. Ma quest'ultimo è altrove, non lo ascolta più; la sua vita gli ritorna in mente. Prova una grande stanchezza. Quindi una calca si stringe attorno al suo avvocato per congratularsi. Durante il ritiro della corte quest'ultimo si mostra fiducioso, crede in un verdetto favorevole. Una lunga attesa, un frastuono, il silenzio della sala, infine il presidente legge la condanna: Meursault avrà «la testa tagliata sulla pubblica piazza in nome del popolo francese».
Meursault rifiuta per tre volte di ricevere il confessore. Pensa al "meccanismo implacabile" che lo condurrà al patibolo, alle residue possibilità di sottrarvisi. Apprende che una sola volta il meccanismo s’è arrestato e che il condannato a morte è riuscito a sfuggire il patibolo. Gli sarebbe bastato: «il mio cuore avrebbe fatto il resto». Ricorda che suo padre aveva assistito ad un'esecuzione capitale. Se fosse libero, egli sarebbe andato ad assistervi a tutte. Pensa al minimo dettaglio dell’ultima scena della sua vita: la ghigliottina, l'alba... Meursault sa che è all'alba che il boia verrà a cercarlo. Quando la mattina designata arriva, apprende che ha guadagnato un giorno di rinvio supplementare. Gli vien fatto di pensare anche alla possibilità di una grazia. Questo pensiero lo riempie di una gioia inconsulta.
Meursault pensa a Marie, che ha cessato di scrivergli, quando il confessore accede nella sua cella. Si instaura una conversazione tra i due uomini. Le parole di dolcezza e di speranza del confessore fanno uscire Meursault di ragione. Il confessore insiste affinché Meursault si penta , ma il condannato a morte gli risponde che non sa nemmeno che cosa sia il peccato. Lasciandolo, il prete dice a Meursault ch’egli pregherà per lui. Meursault si precipita su di lui, lo afferra al collo e l'insulta.
Dopo la sua partenza, Meursault trova la calma e si lascia trasportare dalle sensazioni della notte estiva: «Dinanzi a questa notte carica di segni e di stelle, mi aprivo per la prima volta alla tenera indifferenza del mondo. Sentendola così simile a me, così a me fraterna anche, ho capito che ero stato felice, e che lo ero ancora. Perché tutto sia consumato, per sentirmi meno solo, arrivai ad auspicare che ci fossero molti spettatori il giorno della mia esecuzione e che mi accogliessero con grida di odio».
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LO STRANIERO
«Ho riassunto Lo Straniero, molto tempo fa, con una frase che riconosco essere molto paradossale: "Nella nostra società qualsiasi uomo che non pianga alla sepoltura della propria madre rischia di essere condannato a morte". Volevo dire soltanto che l'eroe del libro è condannato perché si sottrae ad ogni gioco. In questo senso, è straniero alla società dove egli vive, erra, emarginato, nei suburbi di una vita privata, isolata. Ed è per questo che dei lettori sono stati tentati di considerarlo come un relitto. Meursault non sta al gioco. La risposta è semplice: rifiuta di mentire».
(...)
«Non ci si sbaglierebbe molto leggendo ne Lo straniero la storia di un uomo che, senza alcun atteggiamento eroico, accetta di morire per la verità. Meursault per me non è dunque un relitto, ma un uomo povero e nudo, innamorato di un sole che non fa ombra. Lungi dall'esser privo di qualsiasi sensibilità, è attanagliato da una passione profonda: la passione dell'assoluto e della verità. Mi è accaduto di dire anche, e sempre paradossalmente, che avevo provato a raffigurare nel mio personaggio l'unico Cristo che meritiamo. Si capirà, dopo le mie spiegazioni, che l'ho detto senza alcuna intenzione blasfema e soltanto con l'inclinazione un po' ironica che un artista ha il diritto di provare nei confronti dei personaggi della sua creazione.»
Albert Camus
«È necessario [...] superare la Letteratura affidandosi ad una lingua basica, ugualmente lontana dai linguaggi parlati e da quello letterario propriamente detto. Questa Parola trasparente, inaugurata dallo Straniero di Camus, realizza uno stile dell'assenza che è quasi un'assenza ideale dello stile; la scrittura si riduce allora ad una specie di modo negativo nel quale i caratteri sociali o mitici di un linguaggio si anullano a vantaggio di uno stato neutro e inerte della forma; il pensiero salva così tutta la sua responsabilità, senza rivestirsi di un accessorio impegno della forma in una Storia che non gli appartiene».
Roland Barthes - Le degré zéro de l'écriture, Paris, Seuil 1953 - trad. it. Einaudi, Torino, 1972
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